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Artisti e critici: due facce della stessa medaglia

Artisti e critici: due facce della stessa medaglia

Introduzione

Non c’è arte senza coscienza di sé, e la coscienza di sé e lo spirito critico sono tutt’uno.

— Oscar Wilde

Come critico, nel Manifesto per la libertà dell’arte e del pensiero attraverso l’informatica e la crittografia1, ho analizzato approfonditamente l’opera d’arte FCK NFT (2022) realizzata da LRNZ. Per i motivi che indicherò in questo documento, considero quella critica un’opera derivata dall’opera di cui tratta. Come artista, parallelamente al manifesto, ho pubblicato anche un’opera d’arte intitolata FCK NFT HEX2 (2022).

Faccio questa premessa per sottolineare che, avendo indossato entrambe le maschere, vivo consapevolmente in prima persona il rapporto dicotomico che esiste tra critico e artista. Il critico è un decodificatore di opere. L’artista è un codificatore di opere.

In questo documento, con la parola critico mi riferisco, se non diversamente specificato, a colui che spinge sé stesso ad approfondire, valutare, interpretare opere d’arte e che, asservendosi della sua esperienza e dei suoi studi in materia, realizza recensioni testuali o audiovisive.

Con la parola artista mi riferisco a colui che, elaborando e interpretando il mondo che lo circonda, realizza oggetti estetici definiti opere d’arte che racchiudono la sua visione del mondo, le sue idee, la sua personalità.

Differenze tra critici e artisti

Chi si definisce artista e realizza opere ma ha una scarsa cognizione della disciplina che sta maneggiando e dei metodi necessari a maneggiarla, è un artista ma possibilmente è un pessimo artista. Chi si definisce critico e realizza recensioni ma ha una scarsa cognizione della disciplina che sta maneggiando e dei metodi necessari a maneggiarla, è un critico ma possibilmente è un pessimo critico.

Sappiamo bene che non tutti gli artisti e i critici operano allo stesso modo, si tratta dunque di tentare di riconoscere quali possano essere quei tratti comuni utili a distinguere artisti e critici validi da quelli meno validi.

L’artista è colui che tenta di codificare i suoi pensieri, le sue emozioni, la sua visione del mondo, in un contenitore che sia esperibile dall’esterno attraverso un codice-linguaggio sufficientemente comprensibile e fruibile, ma non abbastanza da renderlo cristallino e immediato, in altre parole: noioso e banale. Il grande artista è consapevole che la poesia, cioè l’ambiguità dei codici - siano essi linguistici, visivi, auditivi o tattili - è necessaria per affascinare il pubblico e costringerlo a una riflessione.

Il critico è colui che tenta di decodificare l’opera, ovvero d’interpretare il suo significato, traslandolo in un linguaggio comprensibile a sé stesso e agli altri. Anche il grande critico è consapevole che la poesia è necessaria per affascinare il pubblico e costringerlo a una riflessione sull’opera.

Ciò che intendo evidenziare è che entrambe le figure hanno molti tratti in comune e alcune affinità sono impossibili da ignorare. Per esempio, entrambi si rivolgono a un pubblico e talvolta s’ingannano sul fatto di non averne realmente bisogno. Cercano di acquisire uno stile unico e peculiare che li renda riconoscibili. Hanno probabilmente un’ampia esperienza e conoscenza delle tecniche usate nel campo che trattano e tentano di affinarle col tempo per potenziare il loro lavoro.

Ma se questo è vero, così come ogni grande artista imprime nelle proprie opere una sua visione del mondo ed è consapevole del suo ruolo, il grande critico a sua volta dovrebbe comportarsi come un artista consapevole di tale ruolo e delle responsabilità che ne derivano. L’inconsapevolezza e la mancanza di integrità possono rappresentare un grave problema che «genera mostri». Ma ritorneremo su questo punto più avanti.

Scambiare una qualsiasi opinione scritta senza criterio con una critica fondata, è più o meno grave come scambiare il disegno di un bambino con un’improvvisazione di Kandinsky, oppure un filmato amatoriale girato durante un viaggio in macchina con Il sorpasso di Dino Risi.

Il critico è un traditore

Sia l’artista che il critico sono decodificatori di segni e codificatori di esperienze i cui risultati vengono condensati in un linguaggio-mondo3 che non può coincidere esattamente con il mondo. Tentano, in modi più o meno riusciti, di esprimersi avvalendosi di strumenti imperfetti, per esempio l’italiano nel caso di un’opera letteraria o di una critica scritta. In pratica il loro è un continuo tentativo di quantizzare4 i loro pensieri.

L’artista decodifica dentro di sé la sua esperienza del mondo e tenta di codificarla in una forma accessibile chiamata opera d’arte. Il critico decodifica dentro di sé la sua esperienza dell’opera d’arte e tenta di codificarla in un’opera derivata chiamata recensione.

Senza opere da decodificare, il critico non esiste. Senza critici che tentano di decodificare le opere, l’artista esiste ma la sua opera cessa la sua funzione: resta in attesa che un osservatore ne faccia esperienza e tenti di decodificarla. In questo caso intendo il termine «critica» come elaborazione personale dell’esperienza, perché il critico inteso come autore di recensioni ha un problema ulteriore: parlare dell’opera senza tradirla.

All’esistenza di un’opera d’arte non è possibile sottrarre l’esperienza del pubblico. [..] Ne consegue che un tratto estremamente determinante affinchè un’opera d’arte possa compiere la sua funzione è che questa venga messa nelle migliori condizioni di essere fruita dal pubblico 1.

Si tratta di un problema impossibile da risolvere. Il critico-autore, nell’atto di decodificare l’opera, deve necessariamente tradirla, così come ogni traduttore tradisce l’opera che traduce5, il critico tradisce l’opera che critica, dunque, il suo obiettivo può essere al massimo: tradirla il meno possibile.

Tradendo l’opera, la critica tradisce anche il suo pubblico perché il rapporto tra opera e pubblico è intimo e simbiotico. Paradossalmente, quanto più è approfondita una critica, tanto più è pretestuoso il tentativo di “mediare” la comunicazione estetica tra opera (codice) e fruitore che, soprattutto nei casi di opere profonde e complesse, sono cariche di significati molteplici attivabili in diversi modi, specialmente in oggetti come quelli videoludici. L’approfondimento rischia di disinnescare l’esperienza nel tentativo d’innescare il discorso dell’opera.

Il discorso dell’opera

Coloro che pensano all’arte come mero intrattenimento, come a qualcosa di perfettamente intercambiabile con una partita di calcio o un quiz in TV, sono solitamente anche coloro che percepiscono le opere solo un come mezzo per ammazzare il tempo. Non gli interessa troppo il «discorso dell’opera» ma soprattutto il «discorso sull’opera».

Si tratta di una distinzione vitale. Il «cosa» è il discorso dell’opera. Il «come» tale discorso viene fatto, è l’opera. Il discorso sull’opera è un orpello di rilevanza più o meno trascurabile a seconda dei casi. Claudio Cugliandro su Glitch descrive con diverse parole la stessa problematica che indico:

Un pensiero costante, un messaggio chiaro, ragionato ed efficace, può essere prodotto solo a fronte di una riflessione altrettanto attenta e puntuale. […] Intrattenere ci impedisce di avvisare i nostri alleati della presenza del nemico. Il discorso ragionato, calibrato e strutturato, ci consente di comunicare tra noi.

— Claudio Cugliandro (Il paradosso di Maratona6, 2022)

Una riflessione attenta e puntuale del discorso che l’opera intende esprimere, è possibile da intavolare prima che i partecipanti a tale discussione abbiano fruito autenticamente dell’opera?

A mio avviso la risposta è evidente: no. Come ho già accennato, l’arma più potente nelle mani dell’artista è la capacità di poter amplificare i suoi messaggi con precisi e intenzionali segni poetici impressi nell’opera che vanno a fare leva sulle emozioni del pubblico. Il mio discutere della sequenza iniziale de Il cavallo di Torino di Bela Tarr7 (2011) - che mostra la vita del cavallo che Nietzsche carezzò prima d’impazzire - non potrà mai restituire la grandezza di quei primi 5 minuti di pellicola dove le laceranti sgraffiature sonore di Mihaly Vig squarciano l’anima mentre quel povero cavallo sofferente si spinge innanzi nel vento e trascina pesante la carrozza del padrone che l’aveva appena massacrato a sangue di frustate.

Ciò che posso fare è consigliare o sconsigliare ai miei lettori la visione di quel capolavoro usando la forza delle mie parole. Non potrei mai tradirli anticipando, ad esempio, la sorte che tocca al cavallo. Quella è un’esperienza che va fatta seguendo i tempi e i modi che l’autore dell’opera ha stabilito seguendo una sua precisa intenzione poetica.

La fruizione dell’opera è esattamente il suo messaggio. Se il suo discorso potesse essere isolato dall’opera, espresso senza di essa, allora l’opera non avrebbe più senso di esistere e diventerebbe una futile perdita di tempo.

Delle sorti del cavallo posso parlare in modo approfondito, discutendo degli eventi e del significato profondo di tali eventi, a chi è riuscito a sostenere lo sforzo della visione e che, per soddisfare la sua sete, desidera idratarsi di ulteriori suggestioni interpretative fornite dalla mia critica. Per chi non vuole fare lo sforzo attento e necessario della visione, che è proprio il discorso dell’opera, ho un solo avvertimento: l’arte è fascino, attrazione, seduzione, una pozione ipnotica da degustare. Dove non c’è emozione non c’è arte. Dove c’è mestiere quasi certamente c’è artigianeria, ma non arte.

Chi pretende di conoscere senza esperire dubito voglia davvero conoscere: vuole solo accorciare i tempi per consumare più in fretta. Simili a coloro che usano tecniche di “lettura veloce” per consumare “un libro al giorno” come sacchetti di patatine, sono scheletri a rallentatore che s’illudono di correre nelle loro maratone, troppo spolpati dalla frenesia del mondo moderno per avere qualcosa da offrire: io cerco carne viva e sanguinolenta in cui affondare le mie zanne per poi assaporare lentamente ogni boccone.

La fretta di partecipare al dibattito è raramente una volontà autentica d’indagare il senso dell’opera, è molto più spesso il pressante impulso di parteciparvi in tempo, finchè il trending topic è ancora attivo e può interessare le bolle che ci contengono. Si tratta della necessità di liberare il nostro pensiero isolato per trasformarlo in un pensiero social.

Il pensiero social è un pensiero artificiale che impone ritmi innaturali e inadatti al pensiero critico8. Il pensiero critico nasce dallo spirito, dalla riflessione profonda, dal discorso interiore. Il pensiero social nasce dall’illusione di essersi liberati della dimensione interiore, che viene definita “solitudine” dal pensiero sociale del gregge e additata come un male da sconfiggere. L’annichilimento del pensiero individuale è necessario al pensiero social per trasformarlo in un funzionario della macchina comunicativa che deve generare un flusso d’informazioni costanti.

Nella bolla del pensiero social ci sentiamo appagati se riceviamo “Mi piace” anche parlando del nulla, ma ci sentiamo frustrati se non riceviamo “Mi piace” parlando di quei temi che sentiamo intimamente davvero importanti nello spirito, quelli discussi nel nostro dialogo interiore.

Il senso del discorso critico

Un punto molto importante da tenere sempre presente, spesso motivo di grandi equivoci nelle discussioni, è il senso dell’esistenza del discorso critico. Il discorso critico è un dialogo interiore che intende decodificare l’opera. La recensione, è la manifestazione esposta in forma scritta o audiovisiva del discorso critico interiore.

Non è possibile esprimere giudizi senza esperienza. Il tentativo di esprimere un giudizio prima di aver avuto un’esperienza diretta dell’oggetto di tale giudizio, si indica in italiano con la parola pregiudizio, dove “pre-” significa “antecedente” alla conoscenza diretta, “falsato” da una mediazione.

Una recensione, ovvero l’opera derivata che intende giudicare l’opera da cui deriva, è lo strumento attraverso il quale colui che ha già fruito dell’opera espone il proprio giudizio. Chi non ha fruito dell’opera non può recensirla, può solo ingannare sé stesso e il suo pubblico appiccicando l’etichetta “recensione” al risultato di una mediazione che è frutto di compromessi a cui è dovuto scendere per mancanza di voglia o tempo.

Mi preme altresì sottolineare che il giudizio è qualcosa di immateriale, dunque difficile da maneggiare prima di essere trasposto nella materia scritta, proprio come un’opera d’arte è immateriale e difficile da maneggiare prima di essere scolpita nel materiale che le dà forma.

Quando ero un ragazzino, ancora incapace di esprimere opinioni critiche autonome, leggevo molte riviste che contenevano recensioni di opere che non avevo ancora esperito. Non mi pesava particolarmente. Probabilmente perché, senza gli studi e le esperienze necessarie a esprimere opinioni sufficientemente fondate, ogni cosa che leggevo mi arricchiva e mi dotava di chiavi di lettura che altrimenti non avrei avuto.

Negli anni ho ridotto grandemente la fruizione di recensioni di opere non ancora toccate direttamente. Questo perché sono giunto alla conclusione che la maggior parte delle cosiddette recensioni sono inutili se non dannose. Inutili quando, come troppo spesso accade, si limitano in maniera insostenibilmente verbosa ad affermare che una cosa è «bella» o «non bella». Oppure, nei videogiochi, a elencare cosa si può fare o non fare, o come funziona questa o quella meccanica. Tutte cose che posso scoprire da solo lasciandomi avvolgere dal piacere della scoperta. Dannose se contengono elementi spoilerosi che non ho intenzione di conoscere in anticipo, oppure per evitare di dovermi porre la tediosa domanda: «il mio spirito avrebbe percepito questo elemento allo stesso modo se non avessi letto prima questa recensione?».

Per questi motivi, ho sempre criticato molti trailer diffusi dall’industria dell’intrattenimento, spesso duramente, tant’è vero che mi rifiutai, motivando la decisione9, di guardare il trailer di lancio di Death Stranding (2019). Perché rifiutarsi di vedere un trailer montato e approvato dallo stesso director del gioco? Perché ero perfettamente consapevole che il trailer è il mezzo commerciale attraverso il quale Sony e Kojima Production intendevano convincere il pubblico a comprare il gioco. Mentre il gioco, ovvero l’opera, è il mezzo attraverso il quale il director vuole comunicare con me, secondo metodi, tempi e ritmi che determinano l’essenza del suo senso.

Il senso delle recensioni

Il senso originario della parola recensione – dove “censione” indica l’analisi e il prefisso “re-”, come in re-agire o re-azione, indica qualcosa che può manifestarsi solo e soltanto come conseguenza diretta a un evento pregresso - è sbiadito nel tempo. La recensione non può esistere senza l’opera a cui si riferisce: non si tratta di un’opera che esiste in quanto tale ma di una reazione, che spesso possiede una forza direttamente proporzionale alla forza esercitata dall’opera originaria sull’autore della recensione stessa.

Le opere profonde inducono a reazioni altrettanto profonde. Le opere irrilevanti inducono a reazioni scialbe, in certi casi vengono messe per iscritto solo perché la loro funzione è quella di essere inserite nel ciclo infinito di produzione di prodotti, che parlano di altri prodotti, al fine di generare visualizzazioni e scatenare dibattiti spesso vuoti: il discorso sull’opera e non il discorso dell’opera, per l’appunto.

La moderna e limitata percezione della recensione è quella di indirizzare il pubblico di riferimento verso un prodotto, non il tentativo di decodificare il senso dell’opera, un approccio che era molto più comune10 nei primi decenni successivi alla Ricostruzione, tempi di riviste e quotidiani fondati per volontà viscerale di giornalisti figli della resistenza, intellettuali guidati da ideologie forti e radicate che analizzavano opere letterarie o cinematografiche spesso altrettanto viscerali, proprio perché partorite anch’esse da autori che realizzavano opere primariamente per necessità di esprimere un’emozione profonda, di analizzare criticamente un mondo che, per tanti anni, aveva mortificato il pensiero critico censurandolo o mettendolo al bando insieme a molte altre libertà fondamentali.

Alcune opere, penso a quelle cinematografiche di Tarkovskij, erano veri e propri criptici manifesti di protesta e critica della società contemporanea. L’arte era la valvola di sfogo per artisti limitati da regimi oppressivi.

Le buone recensioni possono e, in alcuni casi, dovrebbero contenere spoiler, se la loro funzione è quella d’inquadrare il discorso che l’opera intende esprimere. Una recensione che seguisse il suo suo senso etimologico dovrebbe essere indirizzata a chi ha già fruito dell’opera e intende:

  1. Acquisire ulteriori strumenti per comprenderla.
  2. Confrontare il proprio giudizio critico con quello di altri.

Senza sperimentare in prima persona, questi due obiettivi sono impossibili da raggiungere, perché non si può comprendere a fondo ciò che non si conosce direttamente esprimendo un giudizio autenticamente critico. Non è un caso se la parola “esperto” ha la stessa radice di esper-ienza ed esper-ire. Esperire significa esattamente “provare su di sé” dal latino experiri dove ”ex” è il rafforzativo di ”periri”, cioè provare. L’esperto non è colui che “sa tutto” o possiede un documento che certifica la sua conoscenza, ma è innanzitutto colui che è dotato di molteplici esperienze dirette e non mediate delle cose di cui parla; e che negli intervalli tra le sue esperienze continua a “scomporre” le opere riversando le sue impressioni su carta.

Il termine recensione è infatti un sinonimo di analisi, scomposizione, divisione: un tentativo di vivi-sezionare l’opera, cioè di squartarla. Più è minuziosa l’analisi e più è sadico il tentativo di ucciderla. Una volta fatta a pezzi è impossibile ricomporla nella sua forma originale e unica. Ecco cos’è quel tradimento di cui parlavo sopra, quel tentativo di mediare l’opera mettendo il suo corpo aperto sul tavolo operatorio.

Abbracciando questa definizione estrema della parola, l’espressione “recensione spoiler-free” perde qualsiasi consistenza logica e si rivela solo come uno dei tanti tentativi dell’industria dell’intrattenimento - da cui gli organi di stampa che pubblicano tali recensioni dipendono - di ribaltare il senso della recensione trasformandolo da discorso critico a consiglio per gli acquisti o spot pubblicitario (nel caso peggiore).

Le buone analisi si disinteressano del costo delle opere che trattano o della data di pubblicazione dell’analisi stessa, spesso posteriore, magari di molte settimane o mesi, rispetto all’uscita dell’opera di riferimento. L’esistenza di recensioni che parlano del - o vengano influenzate dal - costo di un’opera o dalla data di uscita delle stesse, è reprensibile e rischia di tradire uno dei punti fondanti di quella che ritengo una corretta produzione del giudizio11: il punto di vista storico. Per esempio, se considero il costo di un videogioco, la recensione perde di validità al primo sconto, per non parlare di recensioni che “devono” uscire al day one indipendentemente dal tempo necessario ad assorbire pienamente quell’esperienza.

Ecco ancora il problema che si ripresenta: si tratta di prodotti o di recensioni? Un prodotto ha una data di scadenza e si preoccupa di uscire in tempo sul mercato. Un’analisi degna di tale nome non deve avere una data di scadenza e deve preoccuparsi di restare valida il più a lungo possibile, oggi così come tra 10 anni. Uno dei parametri che personalmente uso per stabilire la qualità di un’analisi è la sua validità nel tempo. Se leggo un pezzo dopo 10 anni sua dalla pubblicazione ed è ancora rilevante, allora è sicuramente un pezzo valido. Ogni articolo che pubblico tiene sempre in considerazione questo fattore, infatti mi capita di rileggere i miei scritti passati per assicurarmi che la loro validità non sia stata corrosa dal tempo.

Purtroppo (o per fortuna?) non sono abbastanza presuntuoso da pretendere che si cambi il senso corrente attribuito alle parole d’uso comune per compiacere i miei capricci etimologici. Per cui ho dovuto, e devo ancora, fare i conti con il fatto che chi legge una mia cosa chiamata «recensione» cerca un consiglio, mentre i materiali che i lettori immaginano a posteriori rispetto all’esperienza vengono chiamati «analisi» o «approfondimenti».

Recensioni o consigli?

Una recensione di 2000 parole può essere meno utile di un efficace e secco «No», oppure «Sì», in risposta alla domanda «Me lo consigli?» fatta a un amico di cui riconosciamo la competenza o a una persona che ha opinioni e gusti che sappiamo essere molto compatibili ai nostri.

Molti si lamentano quando il pubblico si limita a leggere la finestra riassuntiva di un prodotto con il voto in evidenza. Ma il voto soddisfa con quantificabile precisione il bisogno primario della maggior parte dei consumatori di recensioni: «Questa roba merita i miei soldi? Merita il mio tempo?». Se il genere o le tematiche sono di proprio gradimento e il voto è alto, la risposta è sì. Altrimenti è no. A quel punto si decide di partecipare ai vari discorsi più o meno futili sull’opera. Ma discorsi seri richiedono riflessioni attente e le riflessioni attente richiedono tempo ed esperienza.

Scrivendo recensioni ho sempre risolto il problema eliminando dal testo gli spoiler gravi, in sostanza quasi tutti, visto che nel dubbio preferisco non compromettere mai l’esperienza. Sono convinto che il compito non debba essere quello di mediare l’opera, ma di aggiungere qualcosa, come una chiave di lettura, una suggestione o un invito per valutarla tenendo in considerazione certi aspetti piuttosto che altri.

Siccome detesto, in particolare nei videogiochi, articoli descrittivi che ripetono ciò che è già scritto nella pagina del prodotto o che è lampante dall’esperienza mentre la compi, ho spesso considerato le recensioni come un’occasione per solleticare la mia verve narrativa. Per questo ho spesso scritto recensioni che a prima vista, lo ammetto, potrebbero apparire curiose, ma che sono una conseguenza ovvia della percezione artistica che ho del lavoro critico e che sto cercando di illustrare in questo articolo.

Sono consapevole che chi vuole scavare a fondo nel discorso dell’opera leggerà senza risparmiarsi vari “approfondimenti” anche strapieni di spoiler dopo l’esperienza. Chi vuole approfondire si trova in una condizione ricettivo-psicologica completamente differente da chi cerca un consiglio.

Tenendo presente queste differenze, ecco due mie recensioni di Star Wars: Il risveglio della forza (2015) a cui ho assegnato un voto di 5/10.

La prima recensione è un brevissimo racconto in cui la promessa iniziale viene delusa per lasciar intendere al lettore l’elemento su cui concentrarsi durante la visione per comprendere la natura del mio voto negativo, qualora decidesse di farla dopo aver letto il mio consiglio, ovvero: la sceneggiatura. Notate bene che questa recensione non dice niente, nulla del film. E non ripete cose già scontate evidenti dai materiali informativi pre-release.

Il suo scopo è consigliare senza tradire l’esperienza che l’ha generata. A chi non ha visto il film, il suo senso risulta parzialmente enigmatico. È un effetto intenzionale della forza poetica che ho cercato di imprimere nello scritto con l’idea che il suo senso possa schiudersi lentamente durante la visione del film. Questa recensione non ha alcuna pretesa di mediazione con l’opera.

La seconda recensione è una critica con spoiler dalla prima all’ultima riga di testo. Perché non vedevo altro modo di chiarificare i motivi per i quali la considero una pellicola mediocre, se non quello di elencare per filo e per segno tutti gli snodi narrativi oggetto di tale mediocrità.

A dispetto dell’etichetta, il secondo pezzo è indirizzato a un pubblico estremamente differente e si riferisce a chi conosce bene il lungometraggio e tutte le pellicole della saga. Questa recensione non ha alcun rispetto dell’opera: la uccide mentre tenta d’indicare il suo valore artistico-comunicativo, che a mio giudizio è molto scarso. Siccome è una recensione molto più critica, è anche un lampante e inevitabile tradimento dell’opera di cui tratta. La valutazione che ho espresso, però, è coerente col mio metodo di valutazione del cinema che considera con grande serietà, come avevo accennato, il punto di vista storico11; per cui tutto ciò che percepisco come mancanza di idee innovative, o peggio, plagio spudorato, viene penalizzato nell’intero spettro dei parametri della mia valutazione.

L’opera è una critica onesta

La poesia e la filosofia sono le piú nobili e le piú difficili facoltà a cui possa applicarsi l’ingegno umano. […] sono del pari le piú sfortunate e disgraziate di tutte le facoltà dello spirito. Tutte l’altre dànno pane, molte di loro recano onore anche durante la vita fuorché queste, dalle quali non v’é a sperar altro che gloria, e soltanto dopo la morte.

— Giacomo Leopardi. Zibaldone di pensieri. 1898-1900.

Qual è la cosa peggiore che può capitare a un artista? La mia risposta è: essere ignorato. La sofferenza più profonda è causata dalla mancanza di considerazione; e quanto più è pura la produzione artistica tanto più è grande la sofferenza, perché non si è disposti a contaminare la purezza espressiva con la notorietà. Le parole “marketing” e “promozione” sono in antitesi con la figura dell’artista e vengono percepite solo come compromessi a cui dover scendere per promuovere l’esistenza dell’opera permettendole di raggiungere un pubblico più vasto.

Gli artisti, soprattutto coloro ancora lontani dai riflettori della notorietà, sono tormentati da una voce interiore che chiede: «quanto sei davvero disposto a tradire la tua natura per avere successo?». I grandi maestri non cedono ad alcun ricatto. Altri artisti cedono pezzi seguendo una strategia mirata che punta a mantenere il controllo della scacchiera. In fondo alla graduatoria ci sono i bari, che manipolano il pubblico accecandolo con luci scintillanti per celare il loro tradimento.

Nelle mie valutazioni cerco sempre di considerare il fattore integrità: le opere disoneste vengono penalizzate, le opere sincere vengono premiate.

La critica è un’opera onesta

Se è vero, e io dico che è vero, che il critico autentico ha molte cose in comune con l’artista autentico, allora anche un critico dovrebbe percepire ciò che concerne i concetti di marketing e promozione come qualcosa di separato dalla sua natura, come compromessi “forse” necessari per raggiungere un pubblico più vasto, ma che non devono mai intaccare una visione del mondo che abbisogna di purezza e onestà massime.

Possiamo essere fieri di ciò che stiamo facendo solo se le nostre opere sono sincere. E cos’è la sincerità? Purezza, integrità, brutale onestà verso sé stessi. Quando viene meno l’integrità, si svende o compromette la propria visione del mondo, il critico-artista cessa di essere tale e si trasforma in un falsario, un prodotto commerciale o un fenomeno da baraccone.

Conclusioni

Ogni grande artista è un poeta che tenta di afferrare la verità del mondo attraverso le sue opere. Anche se è impossibile afferrare l’infinito, gli spiriti più indomiti tentano di afferrarlo. I grandi maestri s’avvicinano tanto che «tra questa immensità s’annega il pensier» loro, ma è solo un avvicinarsi limitato da linguaggi e segni incapaci di mostrare la verità assoluta.

Similmente, ogni critico interpreta l’opera col suo linguaggio “spiegandola”, cioè “stendendola” sul tavolo operatorio per separarla da sé e mediarla. Un tradimento inevitabile poiché la verità può apparire solo nell’opera priva di manipolazioni e mediazioni. Lo spiegamento è la pretesa che il suo significato sia «questo e non altro», di ridurre i suoi possibili sensi poetici, cioè ambigui, a un senso soltanto che, a sua volta, proviene dalla mediazione di una ricezione corporea imperfetta1; e dal pensiero: una ragione che cerca di dire cose talvolta impossibili da esprimere utilizzando linguaggi limitati.

Il discorso autentico dell’opera, dunque, è l’opera in quanto tale che deve manifestarsi coi suoi esatti tempi e metodi comunicativi.

Per questi motivi, il compito del critico è bifasico. In prima istanza deve riuscire a selezionare le esperienze che ritiene più valide. Tale selezione dev’essere visibile al suo pubblico “prima” che compiano l’esperienza dell’opera che, in questa fase, non va mai oltrepassata o tradita. Un breve consiglio, accompagnato da un voto numerico che rende immediatamente visibile la valutazione senza necessità di esplicitare chiaramente le motivazioni, è una buona strategia per adempiere a tale compito.

In seconda istanza, se lo ritiene opportuno, può amplificare il discorso con un’analisi più o meno efferata, facendo attenzione a evitare di far prevalere il “proprio” discorso dell’opera sul “discorso dell’opera”. L’alternativa è confessare apertamente il suo ruolo di killer seriale, sentendosi libero di fare a pezzi le sue vittime senza pietà e pudore, senza alcun rispetto per l’autore, l’opera o il suo pubblico. Il risultato di quest’opericidio è la verità del critico che si sostituisce alla verità dell’opera.

La verità del critico può essere molto vicina o molto lontana da quella dell’opera. Nessuno può stabilirlo senza diventare egli stesso un critico, che fa esperienza diretta di opere tentando di comprenderle affinando i suoi strumenti di analisi nel tempo, fino a quando non si rende conto di essere diventato egli stesso un artista, autore di opere derivate nelle quali imprime la forza del suo metodo artistico-analitico, mediando le opere di riferimento con la sua visione del mondo, le sue idee, la sua personalità.

Note a piè di pagina

  1. Andrea Brandi. Manifesto per la libertà dell’arte e del pensiero attraverso l’informatica e la crittografia. 2022. 2 3

  2. Andrea Brandi. FCK NFT HEX. 2022.

  3. Ludwig Wittgenstein. Tractatus Logico-Philosophicus. 1922.

  4. In elettronica, quantizzare significa comprimere (con perdita) un segnale analogico a digitale approssimando il segnale a una serie numerica.

  5. Umberto Eco. Dire quasi la stessa Cosa: Esperienze di traduzione. 2013.

  6. Claudio Cugliandro. Il paradosso di Maratona, Glitch. 2022

  7. Bela Tarr. Il cavallo di Torino, sequenza inziale. 2011.

  8. Daniele D’Orefice. La comunicazione al tempo di Twitch, Archivio dirette. 2022.

  9. Andrea Brandi. Non guarderò il trailer di lancio di Death Stranding. 2016.

  10. Claudio Cugliandro. L’era dello spoiler alert, Glitch. 2022

  11. Andrea Brandi. Breve critica del giudizio contemporaneo. 2015. 2