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Breve critica del giudizio contemporaneo

Breve critica del giudizio contemporaneo

Se c’è una parola che può dare consistenza al XX secolo e a tutto ciò che ha rappresentato, questa parola è: rivoluzione. Tutti i vari significati che oggi vengono attribuiti alla parola arte sono una diretta conseguenza dell’annientamento graduale dei vecchi canoni della bellezza, operati durante quel periodo. Quello che oggi intendiamo dire pronunciando la parola arte, è piuttosto differente da ciò che veniva inteso un secolo fa pronunciando la stessa parola.

Questo riassestamento culturale della società ha portato a radicali cambiamenti che vanno tenuti in considerazione quando si tenta di dare un giudizio su qualcosa che riguarda il mondo contemporaneo:

  1. La distruzione di ogni regola assoluta.
  2. L’impossibilità di stabilire canoni oggettivi.
  3. La progressiva scomparsa della morale.

Dagli antichi greci in poi, la tradizione occidentale ha tentato di congiure il bello e il vero ponendoli come argine all’angoscia dell’uomo. L’arte contemporanea distrugge definitivamente quell’antica tradizione portando al tramonto ciò che era considerato l’assolutamente immutabile e intoccabile, cioè assolutamente vero.

Se muore il vero, cosa ne è del bello? Cosa resta del suo significato?

I grandi artisti del 900: musicisti, poeti, scrittori, fino agli esponenti delle più moderne arti – come quella cinematografica e videoludica – contaminando le loro opere con ciò che un tempo era considerato blasfemo, hanno dimostrato che la moralità e i canoni oggettivi di bellezza sono definitivamente morti. Prima del novecento, arte era sinonimo di arte sacra. I soggetti di narrazioni, sculture e dipinti erano quasi totalmente sacri o incentrati su racconti sacri. Chi usciva dal seminato veniva considerato un eretico blasfemo e perseguitato dalla santa inquisizione. «Dio è morto», ammoniva profetico Nietzsche.

La morte di Dio è l’arte astratta, tutta la musica moderna, dal rock – il nostro soft-rock un tempo sarebbe stato definito “musica del diavolo” – all’elettronica, fino ai moderni videogiochi che non si fanno scrupolo di mettere in scena, così come i cugini del cinema, ogni genere di linguaggio violento e attività cruenta dell’uomo, scavando nelle più profonde viscere dell’animo umano, mettendo a nudo le nostre emozioni più profonde: amore, lussuria, superbia, violenza, paura, angoscia.

Il bello e il brutto

Quando ciò che era considerato brutto o sbagliato secondo canoni e dogmi millenari comincia a essere messo in discussione, a poter essere in qualche modo considerato bello attraverso una rappresentazione artistica, il giudizio perde quella carica di oggettività dei tempi antichi e assume inevitabilmente una dimensione sempre più personale, allontanandosi dall’oggettività richiesta dalla critica

Ma come possiamo orientarci senza un sistema di riferimento? Come possiamo navigare in mare aperto senza avere una bussola e una carta di navigazione? Come si può restare oggettivi e imparziali? Tali parole hanno ancora un significato?

Quando affermiamo che esiste il bello stiamo implicitamente affermando che esiste qualche cosa di brutto dalla parte opposta del sistema di valutazione.

Bello e brutto sono definizioni generiche e ci dicono poco senza un sistema di riferimento. Tale modo di ragionare binario, pur essendo intuitivo, risulta povero e inefficace. La semplice idea di bello deve quindi essere superata per entrare in una dimensione in cui è possibile incanalare il giudizio in maniera più ampia.

La prima cosa da fare è stabilire un personale sistema di riferimento coerente. Come per un italiano la Germania si trova a nord, così per un inglese si trova a Sud. Entrambi hanno assolutamente ragione secondo il loro punto di vista. Una critica richiede di tracciare delle regole che consentano innanzitutto al critico di orientarsi, e poi un tipo di linguaggio che consenta allo stesso di comunicare con i suoi lettori.

Esperienza e conoscenza

Esperienza, conoscenza e sensibilità

Immaginiamo di far ascoltare un pezzo melodico a qualcuno che non abbia mai ascoltato della musica. Indipendentemente dalla canzone, l’ascoltatore ne resterà quasi certamente affascinato. Ciò accade perchè una persona che non ha mai ascoltato musica viene facilmente rapita dal fascino del nuovo, un fascino che magari non potrebbe esercitare su chi ha già ascoltato centinaia di brani musicali. Questa persona, non avendo altri termini di paragone, può definire genericamente bello tutto ciò che è una novità alle sue orecchie.

Ogni novità aggiunge qualche cosa al nostro bagaglio di esperienza, così come ogni esperienza cambia il nostro modo di giudicare. Ma non basta. Bisogna anche conoscere come è fatto qualcosa per poterlo comprendere a fondo.

Poniamo di far sentire a un’altra persona con una certa esperienza di ascolto un pezzo classico molto complesso o un pezzo avanguardistico, magari rumoristico. Supponiamo che egli non ne rimanga particolarmente colpito. Ciò accade perché la complessità inficia il giudizio del dilettante, che in quanto dilettante non può muoversi correttamente su quel piano di complessità.

Un neofita, un musicista o un accanito ascoltatore di musica, riusciranno a comprendere ognuno determinate sfumature che potrebbero sfuggire all’altro.

Il punto di vista storico

I concetti di novità e punto di vista sono strettamente legati.

Poniamo di ascoltare per la prima volta un brano musicale rock tratto da un disco appena uscito. Dal nostro punto di vista, cioè dal punto di vista dell’ascoltatore, quel brano possiede un certo carico di novità che influisce direttamente sul nostro giudizio. Ma quel brano che noi consideriamo una novità, rivisto da un punto di vista storico, potrebbe facilmente rivelarsi come qualcosa di banale e assolutamente non innovativo, addirittura come un plagio spudorato.

Appare evidente che la conoscenza storica può influenzare pesantemente o addirittura ribaltare completamente la nostra opinione.

La sensibilità

C’è un ultimo magmatico fattore da tenere in considerazione: la sensibilità personale.

Una cosa è certa: non è possibile quantificarla o definirla con precisione perché ogni sensibilità è il manifestarsi della somma di tutti i substrati culturali che ci portiamo dietro fin dalla nascita: sono la nostra educazione, la nostra esperienza di vita, le nostre delusioni e le nostre vittorie, le nostre gioie e le nostre paure.

Con il passare del tempo e l’ampliarsi dell’esperienza diretta e degli studi effettuati (da un punto di vista storico) siamo soggetti a un graduale e inevitabile processo di de-sensibilizzazione. Ne consegue che: maggiori sono esperienza e conoscenza, minore è l’influenza che la sensibilità esercita sul nostro giudizio.

Cosa accade quando vediamo tanti film, ascoltiamo tanta musica o leggiamo tanti libri? Insomma qual è la conseguenza vistosa dell’aumento della nostra esperienza?

Pensiamo al nostro primo bacio. La prima volta che facciamo qualcosa, le nostre emozioni influenzano pesantemente l’esperienza. Del nostro primo bacio solitamente conserviamo un bel ricordo, anche se non si tratta del miglior bacio in termini di esperienza. La stessa cosa succede ai libri, alle canzoni, ai videogiochi o ai film che abbiamo visto da piccoli: hanno un posto speciale nel nostro cuore proprio perché sono associate alle nostre prime esperienze di vita.

Nel giudicare qualunque cosa, la nostra sensibilità fa oscillare l’affidabilità del nostro giudizio entro dei limiti di ampiezza che sono direttamente proporzionali al grado di conoscenza ed esperienza acquisiti.

Grafico del giudizio: conoscenza, esperienza, sensibilità

Questo ovviamente non significa che i baci successivi al primo non saranno più emozionanti, significa che saranno dati e ricevuti con maggiore esperienza e consapevolezza. Spostando la nostra sensibilità su un nuovo piano dimensionale, più ampio e più complesso, potremo percepire nuove sfumature che, diversamente, non avremmo potuto cogliere altrettanto bene.

Affidabilità del giudizio

Divide et impera

Riepilogando, ecco quali sono i maggiori fattori che influenzano la nostra opinione:

  • La sensibilità rappresenta il terreno sul quale si muove il giudizio.
  • L’esperienza accumulata definisce il modo di giudicare. Maggiore è la nostra esperienza, minore sarà l’impatto che la sensibilità avrà sul giudizio.
  • La conoscenza (intesa come studio) di un fenomeno amplia la visione dell’esperienza, permettendo di raggiungere alti livelli di comprensione.
  • Assumere un punto di vista storico è fondamentale, può influenzare pesantemente un giudizio e, nei casi più estremi, ribaltarlo completamente.

Se la sensibilità è il terreno irregolare su cui dobbiamo necessariamente muoverci, l’esperienza rappresenta le mattonelle che vi poggiamo sopra, la conoscenza il cemento che le tiene insieme. Tanto più sarà accurata e solida la pavimentazione, tanto più sarà solido e accurato il nostro giudizio.

Divide et impera

Seguendo la vecchia massima ”divide et impera”, possiamo divertirci a scomporre qualunque critica o recensione in classi e sotto-classi di giudizio.

Possiamo, anzi, dobbiamo essere capaci di scomporre un lavoro in classi da inquadrare singolarmente. Non a caso la parola analisi è anche un sinonimo di dividere, separare, scomporre. Questo tipo di processo solitamente avviene a livello inconscio ogni giorno, in tutto ciò che facciamo. Ogni analisi è necessariamente un processo di scomposizione, ma renderla accurata non è semplice come può sembrare a un primo sguardo: richiede molta esperienza e allenamento, nonché parecchia capacità di astrazione e contestualizzazione.

Giudicare bene un film, una canzone o un videogioco, significa conoscere la storia del cinema, della musica o dei videogiochi, i maggiori esponenti dei loro generi, le tecniche musicali, cinematografiche o di sviluppo che vengono impiegate, saper vedere la loro complessità ed efficacia, riuscendo infine ad amalgamare e contestualizzare storicamente il tutto.

Un gioco bidimensionale realizzato quando non esistevano ancora le schede 3D, va giudicato contestualizzandolo all’epoca in cui è uscito. Così come un film realizzato quando gli effetti speciali erano artigianali non può essere direttamente paragonato a un film realizzato con le più moderne tecniche digitali.

Allo stesso modo, un film horror non può essere direttamente paragonato a una commedia. Se è pur vero che hanno qualcosa in comune, allo stesso tempo hanno delle tecniche realizzative, scopi e un target di pubblico molto differenti. Ancora, quando diciamo che un album pop è un buon album pop, questo non può essere direttamente paragonato a un album metal.

Voti numerici

Non è raro leggere di persone che criticano o snobbano i sistemi di valutazione numerici. Alcune testate professionali hanno addirittura deciso di eliminarli del tutto.

Assegnare un voto, cioè classificare le opere degli artisti secondo un ordinamento che va dal migliore al peggiore, è una responsabilità che un critico dovrebbe assumersi.

Io affermo da sempre l’importanza di utilizzare un sistema di riferimento numerico, purché ovviamente risulti ben congeniato e consistente. I voti sono le coordinate che permettono al critico di orientarsi nell’oceano delle sue valutazioni. Sono la bussola che indica la direzione, non la destinazione. Quando la bussola funziona, non si perde l’orientamento e si mantiene la rotta. Con la giusta strumentazione, un critico esperto può svolgere ancora meglio e più agilmente il suo lavoro. Ma se la bussola è rotta, oppure non la si sa utilizzare al meglio, diventa inutile o, nei casi più estremi, pericolosa.

Appunti finali

Un avvertimento: non bisogna assolutamente diventare freddi e distaccati. Questo processo di analisi e scomposizione permette di godere appieno di tutte le piccole, a volte anche impercettibili sfumature di un lavoro artistico. Non dimentichiamolo: la sensibilità sarà sempre e comunque il fluido vitale che scorrerà fra le scanalature della nostra pavimentazione, pure se questa è solidissima.

Un altro esempio che mi piace utilizzare è quello del navigatore. La sensibilità è il mare che ci circonda, l’esperienza è la nostra imbarcazione, la quale può essere fragile come una zattera o solida come una nave. La conoscenza è il motore trainante; da un paio di remi a un potente motore a combustione. Così come nell’esempio precedente, conoscenza ed esperienza sono strettamente collegate: è impossibile pensare di poter governare a forza di braccia una grossa nave mercantile.