Pubblicato il
🗓️

La vergogna dei videogiochi in esclusiva

La vergogna dei videogiochi in esclusiva

Se osserviamo qual è l’argomentazione più diffusa per motivare la scelta di una piattaforma per videogiocare rispetto a un’altra (lasciando perdere, per carità, il patetico fanboysmo fine a se stesso), la risposta dominante è quasi sempre la stessa: i videogiochi in esclusiva.

Personalmente sono insofferente alle esclusive e sopporto con fastidio le esclusive temporali. Io sogno, come ogni videogiocatore degno di tale nome, di poter giocare i titoli di Naughty Dog e Remedy sulla stessa piattaforma; di assaporare le emozioni offerte da Uncharted e Alan Wake senza guerre di religione, avviando quei titoli dalla stessa console o dal PC.

Ma Sony, Microsoft, Nintendo: tutti fanno di videogiochi first party e relativi personaggi iconici i loro più assidui cavalli di battaglia. Una lotta senza quartiere a chi riesce ad accaparrarsi, a suon di milioni, il maggior numero di esclusive per spingere la vendita delle proprie piattaforme, in realtà tutte simili dal punto di vista dei servizi offerti e delle caratteristiche hardware.

Queste strategie, non solo sono destinate a fallire nel lungo periodo – e non credo sia casuale o temporaneo il fatto che mercato si stia spostando sempre più verso il PC1 – ma sono anche profondamente immorali.

Le esclusive sono immorali

La parola esclusiva deriva dal latino ex-claudere e significa “lasciare fuori” la maggioranza delle persone. Da cosa? Da qualcosa che, appunto, è proprio di una ristretta cerchia di persone. Esclusione, restrizione: da quando queste parole hanno assunto un’accezione positiva?

Le testate giornalistiche che alimentano questa guerra – dalla quale tutti hanno da perderci, a parte le società produttrici di console e le suddette testate che guadagnano da clic e sterili discussioni di fan sfegatati e bambini troppo cresciuti – hanno certamente la loro parte di colpa.

La questione dell’esclusività dei titoli videoludici è totalmente folle e sbagliata, a partire da un’etimologia che va contro ogni principio egualitario. Parole come esclusione e restrizione farebbero rabbrividire se fossero applicate in qualsiasi altro contesto. Ma proprio in queste piccole cose si può scorgere chiaramente la corruzione che i principi morali hanno subito da parte di ciò che potremmo definire: caos della modernità.

La vita è bella: vietato l'ingresso

I nostri avi hanno lottato sacrificando la propria vita per rendere accessibile nella quotidianità ciò che una volta era soltanto una visione utopica: principi di fratellanza e uguaglianza, che non vanno più ricercati nella complessità delle grandi questioni, come quella dei diritti umani o della parità di razza, sesso e genere, che (almeno su carta) sono state riconosciute come fondanti dalla nostra società occidentale2, ma nelle apparentemente innocue questioni quotidiane dalle quali emergono, in tutta la loro banale potenza, comportamenti che sono ancora radicati nel nostro subconscio culturale.

La console war e la guerra dei videogiochi in esclusiva, sono alcuni dei temi superficiali dai quali traspirano chiaramente quei sentimenti di intolleranza ancora presenti nell’inconscio delle moderne società umane; sentimenti che vengono alimentati sottotraccia dall’industria neocapitalista, la quale pone al centro stesso della sua esistenza il principio dell’esclusività.

Capitalismo e videogames

Il capitalismo moderno, perfetto canale di scolo dell’avidità umana, riesce a prosperare massimamente quando garantisce una “scarsità media” dei privilegi, ovvero, quando riesce a dipingere uno scenario dove un ristretto numero di persone può godere di un elevato livello di benessere nettamente superiore a quello medio. In fondo, se tutti potessimo diventare “ricchi”, il significato delle parole “ricchezza” e “privilegio” verrebbe a mancare e al capitalista, che aspira invece all’esclusività di tale condizione sociale, mancherebbe l’incentivo primario per intraprendere.

Gli oggetti più costosi non sono sempre quelli più belli ma quelli più esclusivi. Per lo stesso principio naturale per il quale i minerali e i metalli più rari sono anche quelli più preziosi. L’esclusività rende più ghiotta e stuzzicante, agli occhi degli acquirenti, ogni cosa oggetto di tale esclusività.

L’esclusività è una delle condizioni che impedisce al medium videoludico di affermarsi in tutta la sua potenza. Essendo un medium nativo digitale, dunque massimamente accessibile e riproducibile, limitarne la diffusione in maniera artificiale è come contrapporsi alla sua stessa natura.

Le strategie di marketing delle grandi aziende dell’industria, hanno quasi sempre marciato verso una direzione escludente, verso un percorso che porta a una ripugnante e deprecabile ingordigia umana.

I videogiocatori, comportandosi in maniera intollerante e coalizzandosi in gruppi religiosi di fanboy sempre pronti a innescare shitstorm verso chiunque non faccia parte della loro setta, non fanno altro che alimentare l’avidità dell’industria videoludica. E mentre i loro beniamini continuano a sfruttare la loro passione per spillargli ogni singolo centesimo dal portafogli con pezzi di plastica e metallo limitati da sistemi operativi chiusi e proprietari, i veri appassionati sono costretti a rinunciare ad alcuni giochi fantastici, oppure, per chi può permetterselo, ad acquistare console su console, tutte identicamente antiquate, per usufruire di una manciata di giochi in esclusiva che, sempre più spesso, non sono altro che remastered di vecchie glorie che appartengono a un’epoca ormai perduta.

La console war è un cancro

La vita è bella: vietato l'ingresso

La console-war è un cancro. I giochi in esclusiva sono un cancro. I fanboy che esultano per le restrizioni imposte dai publisher, sono un cancro.

Se domani vi dicessero: «Vuoi vedere questo film? Bene, ma devi acquistare una televisione di un’altra marca». Lo accettereste? Eppure una TV già ce l’avete e l’altra TV, pur avendo alcune caratteristiche differenti, funziona esattamente per lo stesso identico scopo e ha una qualità simile.

«Ci spiace, i film di Christopher Nolan non sono compatibili con la tua TV Microsoft, devi comprarne una Sony». Ridicolo, vero? Fa ridere, sembra una barzelletta. Eppure è ciò che accade da decenni nell’industria dei videogiochi, con la maggioranza dei videogiocatori che, non soltanto continuano a ignorare la differenza tra piattaforma e supporto, ma aggrediscono l’una o l’altra fazione nemica, godendo come i maiali che sono quando un videogioco viene pubblicato in esclusiva per la “loro” console.

Ma i videogiochi andrebbero venduti su supporti universali senza limitazioni di tipo hardware, come già accade con musica, cinema e TV; oppure distribuiti a noleggio (vedi Netflix) e disponibili su ogni piattaforma.

Per fortuna, alcuni tentano di spingere verso una piattaforma universale basata su PC: è il caso di Valve, delle Steam Machine e del consorzio dietro lo sviluppo di Vulkan3 che si propone di contrastare il monopolio delle DirectX 12 (appositamente) incompatibili coi sistemi operativi non Microsoft.

L’arte dev’essere accessibile

Il fenomeno delle esclusive diventa ancora più intollerabile quando si tratta di rendere esclusiva un’opera d’arte; perché i videogiochi sono arte4 – su questo non c’è alcuna ombra di dubbio – e l’arte dovrebbe essere accessibile a tutti nella maniera più ampia possibile.

Chi riesce a vedere la responsabilità storica e morale che abbiamo ereditato, quella di un mondo più giusto ed egualitario di quello dei nostri antenati, non ci trova nulla di esaltante nell’escludere gli altri da qualsivoglia tipo di attività artistica o ricreativa. Non c’è nulla di nobile nella felicità del fanboy appagato dalla soddisfazione di poter giocare un videogioco in esclusiva, alla faccia di chi si trova al di là di un’immaginaria e ridicola barriera; ancor più se si tratta di un titolo di grande valore estetico-artistico, che dovrebb’essere la questione centrale nel discorso videoludico.

Non c’è alcun futuro nella separazione, nel meschino atto di escludere. È nell’inclusione, nell’unione, nell’integrazione dei fenomeni del mondo che sta il futuro. In caso contrario, semplicemente, un futuro non ci sarà; e se dovesse esserci, non sarà qualcosa di cui potremo andare fieri.

Note a piè di pagina

  1. Robert Dow. PC Gaming Market Holds Lead Over Consoles, JPR. 2014.

  2. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 2000.

  3. Vulkan: The future of high-performance graphics. GDC 2015.

  4. Andrea Brandi. I videogiochi: l’ottava arte. 2015.