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Il Day One ha rotto i coglioni
Day One? No grazie…
Avete veramente bisogno acquistare per forza al day one? Forse è giunta l’ora di rivalutare le vostre priorità.
Ne hanno parlato un po’ tutti, e tutti grossomodo accompagnano con parole diverse la stessa melodia di fondo: i publisher non hanno più bisogno della stampa specializzata. Polygon è stato il primo a fare un titolo assolutamente auto-esplicativo: ”Bethesda vuole i vostri soldi prima dell’uscita delle recensioni” e scrivendo «Bethesda vuole i vostri soldi più di ogni altra cosa, e questo è il modo per ridurre i rischi al minimo. Scegliete di conseguenza».
Di recente, anche 2K Games ha deciso di inviare i codici review dei suoi giochi, Mafia III e Civilization VI, soltanto il giorno dell’uscita nei negozi. Questa procedura sta diventando sempre più diffusa e nel caso di Bethesda è stata semplicemente ufficializzata.
Ma se questa decisione fosse un’opportunità per rivalutare le vostre priorità?
Soldi soldi, tanti soldi…
La mia avversione per il capitalismo sfrenato è evidente in tutto quello che scrivo, ma forse non è abbastanza evidente ad alcuni che mi leggono. Per questo preferisco essere subito chiaro come fui cristallino quando scrissi ”La vergogna dei videogiochi in esclusiva” paragonando, senza esitazione e con forza, le esclusive videoludiche alle leggi razziali dell’epoca fascista.
Siete tutti colpevoli e se non ne siete coscienti è ora di svegliarvi. Parlo con voi lettori e fruitori di videogiochi, youtuber e giornalisti.
La mia critica è diretta a chi preda delle scimmie in testa diventa bonobo e si fionda subito nel linciaggio sfrenato della sterile console war, a chi ha il fallo digitale più lungo a suon di esclusive in catalogo.
Parlo innanzitutto di chi ostina a pre-ordinare un titolo e poi si lamenta perché è rimasto “fregato”. Non abbiate fretta, la pazienza è la più grande delle virtù. Sappiamo bene che di questi tempi, molti giochi al day one non sono completi al 100%, a volte afflitti da bug anche gravi che vengono risolti soltanto giorni o settimane dopo l’uscita ufficiale nei negozi.
Siete tutti parte di un sistema che sfrutta le vostre debolezze a proprio uso e consumo. Ma come parte del sistema avete pur sempre la scelta di non sottostare alle sue regole non scritte, aggirandole. In questo caso specifico, smettendo di acquistare a scatola chiusa, finché non siete riusciti a capire se fa per voi o a trovarlo in sconto, a un prezzo più ragionevole per il vostro portafoglio.
Un buon gioco è sempre un buon gioco. Che lo si giochi al day one, dopo una settimana, dopo sei mesi o dopo un anno dall’uscita. Inoltre, e parlo per esperienza, la pressione di consumare un gioco a tutti i costi è deleteria per il giocatore. Un videogioco si vive meglio quando lo si vive con calma.
Se non comprate al day one un titolo di un’azienda big del settore, difficilmente fallirà: il mercato tende all’auto-preservazione. Meglio finanziare sviluppatori indipendenti, che hanno maggior bisogno di sostegno diretto, piuttosto che essere vittime dell’hype innescato dai grandi publisher videoludici.
Stupido è chi lo stupido fa
Ma la mia ramanzina non finisce qui. Eh no, sarebbe troppo comodo incolpare i publisher per la loro ricerca a tutti i costi del profitto: «È tutta una questione di soldi, il resto è conversazione».
Parlo dei siti web che inondano i loro portali di pubblicità fino a che l’utente non viene totalmente sommerso di spottoni pubblicitari a tutto schermo che rallentano la navigazione e impediscono la lettura, per non parlare di audio e video in autoplay su tutte le pagine, senza alcun rispetto per i visitatori. Non avete più neanche un po’ di rispetto per la vostra identità? Ormai le pubblicità hanno preso il sopravvento pure su loghi e brand. Siete davvero diversi dai publisher che tanto criticate?
Parlo di tutti quelli che bloccano le pubblicità in toto con Adblock senza avere rispetto di chi, invece, non utilizza tali pratiche. Non siete migliori di quelli che vi inondano di pubblicità se punite, allo stesso identico modo, chi mette meno pubblicità e meno invasiva per rispettare i lettori.
Parlo anche di quelli che «lo youtuber non è un lavoro». Avete la più pallida idea della mole di fatica che c’è dietro un canale YouTube “fatto bene”? Anche voi, che bloccate tutto perché vi scocciate di cliccare un tasto per saltare un Ads di 4 secondi: meritereste che Google vi sommerga di spot come su Canale 5 durante “Il Segreto”: 10 minuti di pubblicità ogni 8 di visione. Non eludibili, naturalmente.
Parlo anche di chi fa distinzione tra critico e youtuber. Uno youtuber non può essere critico? Il fatto che YouTube sia inondata di casual e pagliacci non significa che lo siano tutti. Ci sono tanti creatori di contenuti che fanno un buon lavoro e parlano di cose interessanti, anche se magari sono poco seguiti e conosciuti. Invece di brontolare, fate un piccolo sforzo per cercarli. Mai li conoscerete se vi ostinate a seguire la massa invece di scavare a fondo per cercare l’oro e i diamanti del sottosuolo sommersi dall’infecondo terriccio di superficie.
Ancora una volta la colpa è nostra. Tutte le volte che scegliamo di rifugiarci sotto la coperta di certezze subendo passivamente ciò che ci passa attorno: dalla politica alla TV, da internet ai videogiochi; tutte le volte che scegliamo la superficialità alla professionalità perché “è più facile”. Se il consumatore è superficiale, il mercato soddisferà quell’attitudine. Quelli che porgono lo sguardo oltre le tendenze e le mode, oltre i click e il denaro, tentando disperatamente e incessantemente di costruire qualcosa di valore, possono essere premiati soltanto dal reciproco rapporto di stima e rispetto tra “creatore” e “fruitore”.
Tutto questo discorso è valido tra la stampa e i lettori, tra youtuber e spettatori, tra sviluppatori/publisher e i giocatori. Se il rapporto di fiducia viene meno, viene meno tutto il raccolto, duro e faticoso da seminare, che è cultura, e amore, e passione.