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La politica è un malware per il sistema operativo Cuore

«Cuore rosso» foto di Nicola Fioravanti

Ho sempre parlato tanto di politica ma non ho più intenzione di farlo.

Superati i 30 anni ho capito che la politica, o almeno il modo attuale di fare politica, non è affine ai miei ideali e al mio modo di vedere il mondo. Non parlo della politica nel suo senso più autentico ma del linguaggio cieco e arcaico di molti politici.

La mia Politica ha, oltre che una prassi, un linguaggio diverso, universale: il linguaggio del cuore. E questo linguaggio può essere compreso da chiunque, di qualunque schieramento, l’unico requisito è avere un cuore che batte, aperto, ispirato, affamato di conoscenza e vitalità.

Quando ero più giovane camminavo coi giornali sotto il braccio accanto al Dylan Dog e la politica mi sembrava una delle questioni più importanti della vita. Nel profondo sentivo il bisogno di comprendere il suo significato e la sua pratica, sentire l’importanza della cosiddetta conquista democratica.

Ho tentato il più possibile di mantenere una posizione imparziale, ma l’atteggiamento retorico delle persone corrompe ogni ideale.

Mi sono sforzato disperatamente di riflettere e far riflettere su ciò che la politica dovrebbe essere e su ciò che dovrebbe fare per sua natura necessaria: parlare con autorità il linguaggio della conoscenza, della tolleranza e della libertà.

Ma invece di parlare questa pseudo-politica urla così forte che ode solo la rabbia di quell’urlo fine a sé stesso che è una contrapposizione a tutto ciò che è diverso. Così forte che non ode più nemmeno la sua stessa voce e il suo messaggio. Urla di guerra quando avremmo bisogno di parole di pace.

Chi sono i nemici? Tutti. O meglio: quelli che non la pensano come “me”.

Nella cattiva arte di fare politica il me è sempre presente al posto del noi. Non parlo solo di noi come popolo, nazione o Europa, ma come Terra, Umanità, diversità e molteplicità, che sono nutrimento.

Il loro noi è un noi amici, familiari, al massimo partito o movimento, una ristretta cerchia di persone che fa stare i piccoli uomini sereni e tranquilli, confortati dalla continua conferma di ciò che già conoscevano bene, idee nelle quali sono avviluppati.

Si tengono cautamente alla larga dalla vera guerra del confronto e della crescita, perché insegnano ad aspirare alla guerra della distruzione del diverso con la forza. Vince, non chi ha avuto l’idea migliore, ma chi ha saputo sottomettere meglio tutti gli altri.

Tutte le parole e gli ideali più nobili vengono sostituiti dai peggiori rigurgiti dell’intolleranza. Quando si parla di politica, le persone danno il peggio perché è la politica stessa a tirare fuori il peggio dalle persone; attraverso campagne elettorali al vetriolo fatte di vessazioni contro l’umano intelletto, insulti verso ogni altro individuo non allineato al pensiero della tribù.

Tutto è una rissa da stadio dove il campo politico è circondato da un’arena a forma di uroboro, un cerchio dove ogni punto è curva infinita di tifosi forsennati.

Mi sento sempre più solo, parte di un’umanità sempre più separata ma che avrebbe bisogno di apertura e non di chiusura, di amore e non di odio, di unione e non di divisione. Come ci si può confrontare se ci si insulta a vicenda? Come si possono ascoltare gli altri se si vuole ascoltare sempre e solo quel “me” che già conosciamo e con il quale non ci dobbiamo commisurare se non per scaramucce di superficie?

E mentre facciamo finta di non capire che gli altri siamo noi, vivendo nelle nostre chiuse e oscure dimensioni, celato nell’oscurità c’è il nostro ego onnipresente che gode e sibillinamente ci spinge alla chiusura.

La politica è un malware per il sistema operativo Cuore. Il cuore è ciò di cui abbiamo bisogno, perché soltanto con il cuore possiamo ispirare gli altri invece di imporre agli altri. Soltanto con il cuore possiamo sussurrare e non urlare. Soltanto con il cuore possiamo capire, finalmente, che siamo sulla stessa barca e non esiste chi vince e chi perde: alla fine sbarcheremo o affonderemo tutti. Insieme.