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Memorie dall'invisibile

Copertina di Dylan Dog 19: Memorie dall'invisibile

Oggi ho letto una notizia1 che mi ha scombussolato: «Muore a 35 anni per un tumore e scrive il suo necrologio». Ciò che mi ha colpito è una frase contenuta nel necrologio: «35 anni possono non essere tanti, ma sono stati dannatamente belli».

Riuscireste a dire la stessa cosa se doveste morire domani? Dopo averci pensato attentamente la mia risposta è stata «No». E questo mi ha spaventato; per non dire annientato.

Verità, felicità, dolore, violenza, morte… Le grandi questioni della vita sono sempre state al centro dei miei pensieri. Più invecchio, più sento pesante il fardello del tempo che passa, delle scelte di vita che ho fatto: radicali, estreme, incomprensibili ai più; scelte che hanno segnato un destino che ho consapevolmente modellato con le mie stesse mani, rigettando ognuna delle pietanze d’alta cucina conformista che la società m’ha messo davanti servendomele su un piatto d’argento.

Denaro, lavoro, famiglia, figli: quei valori che quasi tutti ricercano e considerano positivi non sono mai stati una mia priorità. Forse la verità è che non sono mai cresciuto: ho deciso di restare un eterno adolescente curioso, sedotto dal piacere della scoperta, della ricerca, della conoscenza, dell’arte, del gioco.

Io sono il disadattato par excellence. Ma il mio anticonformismo genetico non è di quelli che vedi sulle storie di Instagram o nelle manifestazioni di piazza; è di quelli oscuri, che puoi scovare solo incavandoti nelle viscere della terra.

Sono un “Ispettore delle fogne” invisibile, attento, solo.

Sono quasi sempre rimasto qui sotto a raschiare il fondo, a razzolare nella merda dalla mattina alla sera, in posti dove pochi osano mettere il naso per paura di rigurgitare quei sopra citati pranzetti argentei a causa del fetore nauseabondo.

Sono caduto e mi sono rialzato così tante volte che non me le ricordo. Ho fallito così tante volte che ho perso il conto. Se fossi immortale come un dio greco non mi farei alcun problema: fallire è la mia specialità… Se avessi tempo sarei disponibile a fallire mille e poi altre mille volte ancora. Ma è proprio questo il problema: il tempo sta passando troppo velocemente.

Ora che sono alla soglia dei 35 anni, la consapevolezza dell’inevitabilità del mio essere mortale comincia a pesare come un macigno. Mi è sempre interessato solo il passato, da un punto di vista storico-culturale, e il presente: ovvero oggi, al massimo il mese a venire. Al futuro ho sempre dato poca importanza.

«Posso continuare a vivere così?», mi domando senza trovare risposta. Non ho mai sentito la necessità di emergere dal sottosuolo: la consapevolezza di essere diventato ciò che volevo diventare mi era sufficiente. Ora non ne sono più sicuro.

Quando penso alla mia morte, l’inutilità della mia esistenza mi si para davanti come una lapide di ossidiana con un solo epitaffio inciso sopra: «Non lascia alcuna eredità degna di nota al mondo, passate pure avanti. Non c’è niente da vedere».

Ho sempre pensato che uno vive se c’è qualcun altro che crede in lui. […] E allora successe. Sentii una fitta al cuore. E poi ancora dolore, un dolore tremendo, da morire. Ma come può morire chi non è mai stato nessuno?

— Tiziano Sclavi. Memorie dall’invisibile, Dylan Dog N.19

Note a piè di pagina

  1. Muore a 35 anni per un tumore e scrive il suo necrologio — TPI