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Introduzione alla storia del cinema

Introduzione alla storia del cinema

Le radici filosofiche del cinema

Il cinema è un sogno. Un sogno che l’uomo ha sognato. Da sempre.

Lo hanno sognato i pittori che tentavano di rendere realistiche, tanto da sembrare vive, le figure dei loro quadri. Lo hanno sognato i fumettisti che hanno provato ad animare i loro personaggi. Lo hanno sognato gli scrittori che hanno proiettato nella loro mente le immagini dei loro racconti. Lo sogniamo noi, ogni giorno, quando pensiamo al nostro passato, oppure al futuro, a ciò che vorremmo accadesse nella nostra vita.

Ma il cinema non è solo una proiezione di ciò che abbiamo nel profondo, il cinema è la messa in scena del divenire del mondo.

Il primo a teorizzare il cinema è stato Platone nel libro VII de La Repubblica. Nel Mito della Caverna, egli parla del percorso dell’uomo verso la verità. Le figure proiettate nella caverna e osservate da chi vi è intrappolato, sono l’inganno che appare come verità agli occhi di chi osserva.

Cos’è il cinema? Una finzione. Dove il regista è un prestigiatore che tenta di proiettare un senso del mondo che non ci è concesso guardare direttamente. Oppure forse il cinema, più che una mera finzione, può essere visto come una luce che tenta di illuminare il senso della verità, mostrandoci quanto efficace e credibile può essere davvero una non-verità.

Secondo la teoria della relatività, il tempo futuro e il tempo passato sono reali quanto il tempo presente. Karl Popper chiamava il suo amico Albert Einstein, “Parmenide“, perché sosteneva che nella fisica relativistica tutti gli eventi del mondo fossero immaginabili come i fotogrammi di una pellicola cinematografica.

Il futuro non è ancora, il passato non è più: questo è il punto di vista dello spettatore che sta vedendo le immagini. Ma dal punto di vista della pellicola, tutti gli eventi del mondo “sono” contemporaneamente, già da sempre conosciuti e contenuti in se stessa. Eppure noi spettatori non possiamo conoscerli finché non osserviamo l’accadere temporale degli eventi in essa contenuti.

Nascita del cinema

Un altro profilo interessante della nascente arte cinematografica è stato quello delineato da Richard Wagner nella sua Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale). Egli teorizzò un tipo di teatro in cui convergono musica, drammaturgia e arti figurative come sintesi perfetta di tutte le altre arti.

Ma la nascita concreta del “fare” cinema è la conseguenza di una serie di intuizioni di grandi inventori e scienziati: dalla lanterna magica al prassinoscopio di Charles-Émile Reynaud (1877). Quando George Eastman ideò (1884) il primo apparecchio fotografico che avvolgeva le pellicole in rullini, passò pochissimo tempo prima che Louis Le Prince scoprisse che era possibile vedere il mondo in movimento catturando le fotografie in serie (1887), inventando la macchina da presa.

Purtroppo Le Prince fu battuto sul tempo da Thomas Alva Edison che depositò il brevetto del proiettore a lente singola prima di lui. Le Prince fu anche il primo ad organizzare una proiezione pubblica a New York nel 1890, ma poco prima dell’evento scomparve misteriosamente e non venne più ritrovato. Ancora oggi non si sa con certezza cosa gli sia accaduto.

Qualche anno dopo, nel 1895, furono i Fratelli Lumiere, che avevano inventato uno strumento che faceva sia da camera che da proiettore, il Cinematografo, ad effettuare il primo spettacolo pubblico della storia, presso il Grand Café del Boulevard des Capucines di Parigi.

Fra il pubblico di quella prima, storica e strabiliante proiezione, c’era un giovane prestigiatore parigino che restò folgorato da quella invenzione: Georges Méliès.

Lumiere & Melies

I primi film dei fratelli Lumiere erano molto semplici e mostravano scene della vita quotidiana, anche se fra questi primi rudimentali film possiamo scorgere alcuni prototipi di cinema comico e grottesco, come ad esempio in L’innaffiatore annaffiato (l’Arroseur arrosé, 1895). Altri film importanti furono Demolizione di un muro (Démolition d’un mur, 1896), dove si vede il primo esempio di effetto reverse e L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat, 1895), null’altro che un treno ripreso mentre giunge alla stazione, ma grazie alla magia della prospettiva cinematografica, come racconta la leggenda, fece fuggire dalla sala alcuni spettatori i quali credevano che il treno, uscendo dallo schermo, li avrebbe investiti davvero.

Successivamente i Lumiere si dedicarono soprattutto a un cinema di tipo documentaristico, mandando i loro operatori in giro per il mondo a raccogliere immagini di scene di vita, città e paesaggi caratteristici.

Fu il prestigiatore Georges Méliès, uno dei 33 spettatori della prima proiezione dei Lumiere al Cafè Boulevard des Capucines di Parigi, ad intuire per primo le potenzialità nascoste di quello strano apparecchio che permetteva di catturare il mondo in movimento.

Nel 1896, Melies, mentre gioca con un cinematografo che si era fatto costruire apposta (i due fratelli si erano rifiutati di venderglielo nonostante le sue incessanti richieste), a causa di un difetto della macchina, scopre qualcosa di magico: il montaggio. Tramite il montaggio Melies capisce che può, non solo mostrare il mondo, ma anche modificarlo a suo piacimento. Il regista abbandona le riprese girate in esterna per costruire uno studio di magia dove dare vita a opere fantastiche e visionarie.

Quello stesso anno realizza Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin (1896) dando l’illusione dell’apparizione e della sparizione di una donna. Melies utilizzò la stessa tecnica per girare molti altri film fantastici, quasi sempre sospesi tra fiaba e realtà; di questi mirabolanti film, praticamente tutti conoscono Viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune, 1902), il primo film di fantascienza della storia del cinema, ispirato al romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna“.

Ancora oggi, seppur sommersi in un mondo cinematografico traboccante di effetti speciali, riguardando quel film riusciamo a coglierne l’isocrona magia; e di magia ce n’era ancora tanta da scoprire.

La scuola di Brighton

Le prime innovazioni nel campo delle inquadrature giungono dalla “scuola di Brighton” nel sud dell’Inghilterra, in primo luogo dal pioniere George Albert Smith, che gira Il bacio nel tunnel (The Kiss in the Tunnel, 1899), usando per la prima volta il montaggio per sviluppare una storia, suddividendo l’azione in tre diverse inquadrature correlate dallo stesso filo narrativo. Smith filmò da un treno in movimento forgiando una tecnica che verrà soprannominata la Corsa Fantasma (Phantom Ride) e che verrà riutilizzata da molti registi nei decenni successivi.

Anche James Williamson fu autore di film narrativi. Attacco a una missione in Cina (Attack on a China Mission, 1900) mostra un primo rudimentale esempio di montaggio alternato, e Il grande boccone (The Big Swallow, 1901) presenta un esempio di primo piano, formalizzato poi in fase di montaggio da George Albert Smith in Il gattino malato (Sick Kitten, 1903), passando in modo netto da un’inquadratura di campo medio al primo piano.

Il linguaggio stava cominciando a prendere forma. Stiamo parlando dei primi gridi di un neonato che tenta di dire: “sono qui, ho fame”, urletti bofonchiati, ma dolci, dolcissimi come le note suonate da un giovane Mozart sul suo primo pianoforte.

Quando nel 1900 in La lente della nonna (Grandma’s Reading Glass), vengono mostrati dettagli di oggetti piazzando una sagoma circolare sulla camera in modo da simulare una lente d’ingrandimento, vediamo l’intelaiatura di ciò che saranno i capolavori di Griffith e di tanti altri registi affini. Alfred Hitchcock ad esempio, userà la stessa identica tecnica per girare La Finestra sul Cortile (1954).

Ci vorranno ancora molti anni per strutturare le intuizioni di questi pionieri fondendole con la varietà dei movimenti della camera, dei piano-sequenza e di esperimenti narrativamente sempre più arditi e audaci.

Il cinema americano

Dall’altra parte dell’oceano Atlantico, dalle parti di New York, Edwin Stanton Porter, un proiezionista assistente di Thomas Edison, cominciò la sua avventura da regista. Nel 1903, ispirato da Fire! (1901) di James Williamson, tenta di conferire azione e pathos a un film dal carattere drammatico.

In Fire! si assisteva al salvataggio di una donna da un’edificio in fiamme. Grazie all’aiuto del montaggio, erano mostrati due punti di vista spaziali differenti: dalla strada e dall’interno della casa. Ogni taglio corrisponde a un cambio di prospettiva dello spettatore, pur restando in un piano temporale lineare, svincolando definitivamente il cinema dalle sue origini teatrali e introducendo le prime tecniche di montaggio atte a manipolare lo spazio.

La vita di un pompiere americano (1902) introduce queste intuizioni negli Stati Uniti, ampliando il discorso di Williamson con una delle tecniche più utilizzate ancora oggi: l’apertura del film con il sogno del protagonista (mostrato in esposizione multipla). Tramite questo escamotage, oggi consolidato, Porter crea empatia tra il pubblico e la protagonista, mentre con piani ravvicinati e dissolvenze, rende fluido e piacevole lo svolgimento dell’azione.

Ispirato dai tentativi di Melies di comporre una narrazione attraverso inquadrature collegate (L’affaire Dreyfus, 1899), Porter girò il primo film western narrativo della storia, Assalto al treno (1903), ispirato a una vera rapina. Il film ebbe un notevole successo e contiene tantissimi elementi che conosciamo bene: i criminali, il bene che vince sul male e il finale a sorpresa: una geniale scena diventata celebre. Alla fine del film infatti, l’attore Justus Barnes punta la pistola verso la cinepresa e sogghignando, spara verso il pubblico.

Edwin Stanton Porter girò alcuni altri film che contengono geniali intuizioni, tra i quali La cattura degli scassinatori della Banca Yegg (prototipo del gangster, 1904) e The Kleptomaniac (prototipo del dramma sociale, 1905), ma poi cadde in rovina dopo la famosa crisi del ’29 e decise di dedicarsi a tempo pieno alla sua prima passione: la fotografia. Simile infausto destino toccò a George Melies, che finì sul lastrico e aprì un chiosco di dolci e giocattoli presso la stazione di Paris-Montparnasse, insieme a sua moglie e musa ispiratrice, l’attrice Jeanne d’Alcy, come romanticamente e sapientemente raccontato da Martin Scorsese in Hugo Cabret (2011).